Costruire il consenso
Questo articolo, scritto da Malik Abu Kheir, è apparso sul quotidiano al-Hayat il 05/01/2014.
Come riescono lo Stato islamico nell’Iraq e nel Levante e Jabhat al-Nusra ad avere un consenso popolare nella regione di al-Qalamoun?
La risposta si trova fra i profughi siriani che in questa regione raggiungono le mille unità e che non godono di alcun sostegno o aiuto da parte di nessuna organizzazione di soccorso.
Durante un giro tra i profughi della zona di al-Qalamoun, non troviamo nessun ente che lavori per la loro tutela o che gli offra aiuto. La maggior parte di loro proviene dalle zone di Homs, come Bab Samaa, al Qasir, al-Bueda e altre ancora. E in alcuni casi molte delle loro famiglie non sono in grado di assicurarsi un pezzo di pane, visto che il prezzo di un pacco di pane oscilla tra le 125 e le 175 lire siriane. Inoltre non c’è nessun aiuto da parte della Coalizione siriana dell’opposizione, in quanto nessuna delle sue organizzazioni per il soccorso è presente, nonostante tutte le notizie che si sentono riguardo il suo riversare finanziamenti all’interno della Siria. Non c’è comunque bisogno di sottolineare tutto ciò, la povertà e il degrado che patiscono i profughi ne sono il segno più evidente; le associazioni che lavorano per iniziativa soggettiva non sono in grado di coprire le necessità di tutti, nonostante i loro considerevoli sforzi.
E’ proprio qui che si innesta il ruolo delle organizzazioni estremiste, le quali si preoccupano di assicurare la farina che manca e, per esempio, di raccogliere tutto quello che si riesce a prendere dalle case di al-Qalamoun, sotto il controllo dei gruppi fanatici come Jabhat al-Nusra, e distribuirlo in maniera equanime alle famiglie emigrate da Homs, le cui case sono spoglie di ogni cosa, offrendo così tutto quello di cui le persone necessitano. Ciò, oltre all’offerta di denaro contante, qualora la situazione lo richieda. Tutto questo fa in modo che tali organizzazioni acquistino legittimazione e sostegno popolare.
Probabilmente i profughi non si rendono conto subito di cadere in una trappola, lo capiscono solo quando è troppo tardi.
Um Mohammad, profuga del villaggio di Bueda, che appartiene alla città di Homs, dice:
“Da quando siamo giunti ad al-Qalamoun di quando in quando delle persone ci hanno offerto alcune scatole di aiuti, ma a condizione che venissimo fotografati. Ci siamo sentiti mortificati di fronte a questo aiuto, ma ne avevamo bisogno. Al contrario, quando elementi di Jabhat al-Nusra ci offrono letti, coperte, vestiti per i bambini.. e quantità non trascurabili di legna, in aggiunta a riso e bulgur (frumento).. e queste cose sono state la nostra salvezza nella stagione invernale, non c’è nessuna foto o firma di carte. E allorché abbiamo richiesto altre cose, si sono impegnati nel darcele mantenendo le loro promesse. Non come i seguaci di quei gruppi che segnano sui loro fogli quello di cui abbiamo bisogno e poi scompaiono.”
Passiamo al secondo e più importante aspetto, il sostegno militare. La differenza tra quello che possiedono in armi e munizioni Jubhat al-Nusra e lo Stato islamico nell’Iraq e il Levante, rispetto alle restanti formazioni del Libero Esercito Siriano è evidente. Oltre ad una buona organizzazione interna a cui si attengono i suoi membri in quanto gli ordini sono eseguiti con disciplina, i primi godono di un sostegno di armi illimitato, la cui fonte è ignota.
Si racconta che in uno dei villaggi di al-Qalamoun alcuni giovani armati abbiano compiuto uno stupro, ma il distaccamento del Libero Esercito non ha potuto punirli per paura di uno scontro con le famiglie. Il capo di Jabhat al-Nusra invece ha fatto circondare il villaggio, prendere i colpevoli e li ha fatti giustiziare pubblicamente, instillando così la paura nel cuore di tutti.
Un comandante di uno dei più importanti reparti di al-Qalamoun, che chiede di non rivelare il suo nome per non doversi scontrare con i membri del Jabhat o dello Stato Islamico, desidera che siano riportate le seguenti parole:
“Qui c’è un piano intenzionale preciso per far sì che il Libero Esercito sia alle prese con il risparmio dei proiettili, mentre i membri del Jabhat e dello Stato Islamico possiedono proiettili ed armamenti medi e pesanti senza che se ne conosca la fonte, i fornitori. Ci sono inoltre sotterfugi per impedire che ci arrivi il sostegno in maniera totale, sostegno al contrario elargito generosamente al Jabhat e allo Stato Islamico.
La Coalizione Nazionale e chi sta con lei sopportano tutto questo, compresa l’assenza di ruolo nell’ambito dei soccorsi, ciò che lascia i profughi in preda al Jahbat e allo Stato Islamico. Col perdurare di questa situazione per mesi, forse anni, non resterà alcun spirito civico ad al-Qalamoun, così come nel resto della Siria“.
Questo è solo l’inizio: la maggioranza degli abitanti di al-Qalamoun non sa della violenza che ha luogo nelle regioni liberate per mano dello Stato Islamico e dei suoi membri. O meglio, non ci credono perché dinanzi a loro vedono in concreto un comportamento diverso. C’è invece paura manifesta negli attivisti civili delle città di al-Qalamoun, come Birod e altre, per l’aumento dell’influenza di queste organizzazioni; c’è timore che il loro destino sia come il destino delle restanti città della Siria controllate da questi gruppi estremisti.
Una domanda rimane aperta: chi è il responsabile che li ha fatti diventare padroni del ruolo attivo sul territorio? e perché le organizzazioni che potrebbero fare qualcosa restano inerti ed impegnate a convocare conferenze e incontri con la stampa?
Domanda questa che richiede una risposta in ordine ad un chiaro avanzamento senza freno degli islamisti, e con il loro trasformarsi, col passare del tempo, in un sostituto più violento del regime di Asad stesso.