I commenti di oggi sulla situazione egiziana
Oggi, 03/07/2013, sui giornali arabi appaiono diversi commenti incentrati sulla crisi egiziana, tentativi di interpretare gli ultimi sviluppi drammatici (si contano i primi morti e decine di feriti) e di prevedere i possibili scenari futuri.
La situazione sembra giunta ad un punto morto con il presidente Morsi, deciso a non dimettersi in quanto forte del risultato elettorale e del sostegno del suo partito Fratellanza Musulmana, mentre le piazze egiziane sono in rivolta contro una gestione del potere deludente e tendente ad islamizzare il Paese. Infine l’esercito che, imponendo un ultimatum al presidente affinché trovi una via d’uscita alla crisi, sembra appoggiare le richieste dell’opposizione.
As-sharq al-awsat riporta un commento di Abdulrhaman al-Rashed, direttore del canale satellitare arabo al-Arabiya, in cui viene evidenziato il ruolo centrale dell’esercito egiziano, dai cui ranghi, in passato, sono usciti i presidenti, o meglio i raìs, che hanno preceduto Morsi. Nonostante questo, l’esercito non ha mai assunto un ruolo invasivo come in Pakistan, bensì si è sempre fatto garante della volontà popolare. Come nei ben noti avvenimenti della rivoluzione del 25 gennaio, in cui ha causato la caduta di Mubarak evitando di difenderlo ad oltranza, per poi gestire la transizione verso la democrazia, senza ambizioni politiche.
La presidenza Morsi ha provocato la polarizzazione della società egiziana, con manifestazioni e occupazione delle principali piazze. Si è assistito, di conseguenza, ad un crollo economico e all’esasperazione della popolazione. Da qui l’ultimatum dell’esercito, che vuole evitare di giungere a scontri sanguinosi, o addirittura ad una vera guerra civile.
L’esercito ha così in mano le redini del gioco, un gioco che deve svolgere con accortezza: persuadere la Fratellanza e il governo Morsi ad accettare la propria agenda politica, non ancora annunciata, ma che prevederà probabilmente l’istituzione di nuove elezioni politiche.
Insomma, un ruolo di mediazione quello dell’esercito, volto a stemperare gli animi e a garantire un confronto democratico tra le forze in campo. Esso infatti, è ben consapevole dei numeri che stanno dietro alla Fratellanza e del sostegno di cui Morsi gode, nonostante stia affrontando una contestazione oceanica.
Di ben altro tono il commento di Abdel Bari Atwan (cliccando qui si accede all’articolo originale), il quale non esclude il ripetersi della situazione verificatasi in Algeria nel 1992. Fatte le dovute differenze storiche, sociali e geografiche, non è improbabile che l’intervento dell’esercito, che costringe alle dimissioni un governo democraticamente eletto, porti ad uno scontro armato tra i militari e i gruppi islamici. In Algeria si assistette ad una vera guerra civile, che costò la vita a 200.000 persone e che si protrasse per un decennio.
Certo, nella storia dell’Egitto non si riscontrano sanguinosi colpi di stato intrapresi dall’esercito, così come la storia della Fratellanza non è costellata di fatti di violenza, se non episodici. Ciò non toglie però che, qualora gli ultimatum dell’esercito e le sue prescrizioni per uscire dalla crisi non vengano accettati, si possa arrivare ad una situazione ancora più caotica e ad uno scontro diretto e violento tra i sostenitori dei due schieramenti.
Atwan si augura quindi che non si giunga ad un irrigidimento delle varie posizioni, che i sostenitori di Morsi non imbraccino le armi (tra l’altro, presenti in gran quantità in Egitto dopo la rivoluzione libica), che l’esercito non prenda esplicitamente le parti di una fazione contro l’altra e che, qualora si ritorni alle urne, tutte le parti in causa dimostrino giudizio e assennatezza nell’accettarne il responso.
Dopo l’Iraq e la Siria, anche l’Egitto rischia di spaccarsi e di dover affrontare scenari di guerra civile con la conseguente disgregazione delle sue istituzioni più importanti, come l’esercito.
Infine, l’editoriale apparso su al-Hayat a firma di Ghassan Sharbil (qui l’articolo originale), che immagina lo sconforto di Morsi di fronte agli ultimi avvenimenti delle piazze egiziane e al fatto che mai avrebbe previsto che il suo destino seguisse la stessa parabola del suo predecessore Mubarak.
Certo, Morsi non è solo, in quanto espressione di un’ampia fetta di popolazione che si dimostra solidale al progetto della Fratellanza Musulmana; progetto che, tuttavia, potrebbe aver imboccato la stagione del declino.
Nessuno è stato in grado di leggere e interpretare i segnali che arrivavano dalle piazze egiziane, e nessuno avrebbe mai creduto al successo delle manifestazioni di protesta. Solo l’esercito ha dimostrato la scaltrezza necessaria per affrontare la situazione, imponendo un ultimatum che non lascia scelta alla Fratellanza: o affrontare nuove elezioni o affrontare lo stesso esercito, che si è inserito per evitare il degenerare del confronto e un possibile bagno di sangue.
Un’amara alternativa quindi, di fronte a Morsi. Sicuramente molti dubbi assillano il presidente, ma anche il generale al-Sisi, comandante delle forze armate, sa di giocare una partita molto importante, i cui esiti non sono ancora decisi: qualora Mursi riuscisse a trovare una via di fuga da questa impasse, sarebbe lui a dover affrontare il vento del declino.