Il ruolo dell’esercito
I fatti egiziani hanno portato alla ribalta il ruolo dell’esercito nella politica mediorientale.
Artefice di colpi di stato e di repentine conquiste del potere, questa istituzione ha sempre avuto un caratterizzazione negativa. Percezione che alcuni giornali arabi tendono a ribaltare, accentuandone invece il ruolo di garante dell’unità nazionale e di custode della volontà popolare, soprattutto in seguito al suo intervento a sostegno delle manifestazioni di piazza del 30 giugno e alla destituzione del presidente Morsi.
Fermo restando che si e’ trattato di un vero e proprio colpo di stato e che una buona fetta di popolazione manifesta il suo sostegno a favore del presidente deposto, in Egitto l’esercito gode di una situazione favorevole. Per motivi economici: l’istituzione controlla una buona fetta di economia e gode di sovvenzioni americane. Per motivi storici: ha partorito dalle sue fila i precedenti presidenti, tra cui lo stesso Gamal Abd el-Nasser, artefice della rinascita dell’orgoglio arabo. Per intelligenza tattica: ha scaricato il rais Mubarak, la cui posizione era ormai compromessa.
Lo stesso favore non e’ riscontrabile in altri Paesi della regione.
In Libano la presenza dei miliziani di Hezbollah, che sempre si sono detti contrari a gettare le armi con la scusa di dover difendere i confini dagli attacchi israeliani, svolgono il ruolo di forza militare privata, a sostegno di una fazione religiosa. La mancanza di volontà politica e una storia caratterizzata da divisioni confessionali e da una gestione del potere quasi feudale, hanno relegato all’esercito la funzione di pompieri, che provano a sedare i vari focolai di rivolta, ma a cui e’ impossibile gestire la situazione con decisione. I soldati non sono certo visti come pilastro della difesa o interpreti di un sentimento nazionale.
In Libia l’esercito vive il suo momento peggiore, schiacciato tra le varie milizie molto ben armate e diventate i veri artefici del destino del Paese.
Stessa situazione di crisi in Siria, dove il regime degli Assad ha attuato un controllo totale su questa istituzione. Ciò grazie a nomine di fedelissimi del clan familiare nei punti cardine di comando, e alla formazione di vere e proprie unità a base settaria, che dispongono delle migliori armi e del più efficace addestramento. Ci sono state defezioni, e’ vero, ma molti reparti sono rimasti, o per obbligo o per convenienza, a fianco del regime.
La retorica di chi vede nell’esercito la massima espressione del nazionalismo, inteso come simbolo di unita’ e di concordia, quindi, non trova molto sostegno, caso egiziano a parte. E anche qui, bisogna vedere se si accontenterà poi di gestire un governo di transizione e di lasciare successivamente il campo alla politica.
Suscitare divisioni e contrasti anziché rappresentare un punto di aggregazione che ispiri rispetto come organo al servizio dello Stato, il cui principio guida e’ quello di essere al servizio del cittadino in quanto tale, senza discriminanti etichette politiche e religiose, e’ comunque una situazione comune a tutte le istituzioni arabe.
Del resto, la debolezza degli apparati statali che godono di una pessima fama in quanto corrotti, faziosi e fallimentari (فاشل direbbero gli arabi), non e’ un male ascrivibile al solo M.O.: lo stesso sentimento lo troviamo diffuso anche nel nostro stesso Paese. I motivi, immagino, siano non solo politici, ma anche storici e sociali.
Rendersi conto ed essere consapevoli rappresenta comunque già un passo avanti.