Inquietudine saudita
In base a due notizie che ha diffuso oggi il quotidiano al-Quds, il regno saudita sta osservando con preoccupazione gli ultimi sviluppi politici dell’Iran e della Siria.
La prima notizia descrive la contrarietà con cui il governo saudita ha appreso del colloquio telefonico tra il presidente americano Obama e il presidente iraniano Rouhani. Lo stesso disappunto si può leggere anche nei commenti di alcuni giornalisti vicini alle posizioni saudite che esprimono una grande diffidenza nei confronti dell’Iran e degli sciiti, i quali tra l’altro vengono descritti come esperti nell’arte della dissimulazione. Le ultime aperture manifestatesi nell’ultima Assemblea Generale delle Nazioni Unite quindi non sarebbero altro che tentativi volti ad alleggerire il peso delle sanzioni, e una manovra per prendere tempo allo scopo di giungere al completo sviluppo del programma nucleare iraniano. Programma tutt’altro che pacifico, il cui fine ultimo sarebbe il possesso della bomba atomica che garantirebbe alla teocrazia di Teheran la supremazia regionale su tutti i Paesi del Golfo. Senza contare che diventerebbe una minaccia costante nei confronti di Israele, altro attore contrariato da questa distensione.
L’altra notizia viene ripresa dal quotidiano “The Indipendent” e dal suo inviato Robert Fisk, il quale sostiene (sulla base di fonti certe, vicine al presidente Asad) che circa sei settimane fa una delegazione formata esclusivamente da due persone, un civile e un militare del “Libero Esercito Siriano”, si sarebbe recata a Damasco con l’intento di negoziare un accordo col regime, per trovare una soluzione politica che metta fine a questa guerra sanguinaria. Un accordo basato su alcuni punti fondamentali: l’avvio di un dialogo nazionale interno, la protezione dei beni pubblici e privati, la condanna e la fine dello scontro etnico-religioso e la necessità di creare un governo democratico basato sulla legalità. Non si sarebbe accennato al futuro ruolo di Asad, né quindi al suo allontanamento.
All’origine di questa proposta ci sarebbe lo sconforto di molti soldati del “Libero Esercito Siriano”, che ora si ritrovano a combattere contro i gruppi estremisti. Per non parlare della popolazione, che passerebbe dal dispotismo degli Asad al dispotismo di al-Qaeda.
Il suddetto accordo comprometterebbe la strategia degli stati del Golfo e dell’Arabia Saudita, che molto hanno puntato sulla drastica fine del regime di Damasco (con la sconfitta dei clan alauiti), sul dissolvimento dell’alleanza sciita con l’Iran e sull’isolamento infine di Hezbollah in Libano.
Certo, l’opposizione siriana è variegata; molte fazioni sono irriducibili e mai giungerebbero ad un accordo che non preveda la cacciata del rais di Damasco. Nulla toglie però che le aperture americane all’Iran e lo stallo in Siria inquietino abbastanza il regno saudita e il suo conservatorismo, che, tra l’altro, non ha mai visto le primavere arabe di buon occhio, per le loro rivendicazioni democratiche.