La lista dei problemi
Giusto per avere un piccolo promemoria, chiaramente non esaustivo, viene presentata una lista degli ostacoli che impediscono la risoluzione della crisi siriana:
– in primo luogo la scelta operata dal regime siriano di rispondere con la violenza e la repressione alle legittime, ed all’inizio pacifiche, richieste di democrazia della popolazione e dell’opposizione. Forte del sostegno militare dell’Iran e del sostegno politico della Russia, il regime di Damasco ha abbracciato l’opzione militare e mantiene con decisione questa linea, dicendo apertamente di essere disposto a lottare fino alla fine. Del resto Assad gode, per forza, di un minimo appoggio interno: le minoranze alauite sciite e cristiane. Sicuramente poi un piccolo numero di laici guarda con sospetto alla possibile futura islamizzazione della Siria.
– la frammentazione dell’opposizione politica esterna, costituita da una serie di raggruppamenti tra cui primeggia il Consiglio Nazionale Siriano. Questa situazione non ha portato ad un totale riconoscimento dell’opposizione siriana da parte di governi e organismi internazionali. Da sottolineare inoltre il totale rifiuto dell’opposizione di giungere ad una soluzione politica che non preveda la caduta di Assad.
– la presenza di gruppi militari fondamentalisti e salafiti che combattono contro l’esercito siriano. I loro sospetti legami con al-Qaeda hanno frenato fino ad oggi l’armamento dell’ Esercito Siriano Libero per il timore che armi sofisticate e letali cadano in mani sbagliate.
– la geopolitica dell’aerea, con le ambizioni nucleari dell’Iran e il suo desiderio di diventare una potenza internazionale e di esportare la rivoluzione sciita. La sua forte influenza esercita pressioni sui suoi alleati libanesi e iracheni per impedire la caduta di Assad. In questo contesto si capiscono le repressioni violente di Baghdad contro le rivolte sunnite nella prefettura di Anbar (ai confini con la Siria) e l’invio di miliziani di Hezbollah all’interno del territorio siriano per combattere a fianco del regime. Anche Mosca, per motivi strategici, non vuole perdere l’unico alleato rimastogli nell’area mediorientale. Collegato a tutto questo, la paura degli stati del Golfo di fronte ad uno strapotere iraniano che potrebbe influenzare le minoranze sciite della costa dell’Arabia Saudita (si vedano anche le rivolte del Bahrein).
– il ruolo di Israele, eterno nemico di Damasco, che in tutti i casi preferisce un avversario conosciuto, anche se impegnato a fare della retorica della resistenza contro i sionisti il suo slogan ufficiale (in realtà ha sempre mantenuto sicuri i confini col Golan occupato) ad una possibile incognita come la presenza di uno stato islamico deciso a sostenere tenacemente le rivendicazioni arabo-palestinesi.
– il problema curdo, minoranza mai considerata da Damasco e le cui ambizioni d’indipendenza contrastano apertamente il mantenimento di uno stato unitario siriano. Senza considerare le divisioni politiche all’interno della stessa opposizione curda e i delicati rapporti tra i curdi e la Turchia.
– l’incertezza della politica estera americana, alle prese anche con la questione del nucleare iraniano, e le sue tragiche e dispendiose esperienze in Iraq ed Afganistan. I costi sostenuti per le spese militari certamente hanno contribuito al dissesto delle finanze americane, mentre i benefici sembra siano stati minimi, soprattutto per quanto riguarda la popolarità USA presso le popolazioni mediorientali.
Tutti questi elementi di instabilità rendono difficili eventuali previsioni future. Certo è che il conflitto siriano sembra destinato ad acuirsi fino a quando non verranno prese decisioni forti o estreme (intervento armato? ridimensionamento del ruolo iraniano?), in quanto non sembrano contemplate le soluzioni politiche o diplomatiche a causa dell’ostinazione delle parti in conflitto.