La rivoluzione e’ finita?
Domenica sera e’ stato rilasciato il giornalista Domenico Quirico. Era stato sequestrato all’inizio di aprile insieme ad un collega belga, subito dopo aver attraversato il confine siriano-libanese.
Quirico ha una grande esperienza e già in passato aveva rischiato la vita per fornire una testimonianza diretta di eventi drammatici che colpiscono le zone più degradate del mondo e che non trovano un’adeguata copertura giornalistica (se non filtrata) nella nostra informazione quotidiana. Impressionante il suo reportage su La Stampa in cui riportava un viaggio della speranza compiuto insieme ad altri immigrati dalle coste nord-africane verso l’Italia, o il resoconto del caos libico che lo vide coinvolto in un altro rapimento.
Nel suo racconto apparso ieri sul quotidiano di Torino, Quirico sostiene che la rivoluzione e’ finita. Non c’e’ più spazio per gli ideali di libertà e di democrazia che avevano spinto i primi manifestanti a scendere in piazza per chiedere un maggior numero di riforme da parte del regime. Oramai sono stati inghiottiti dall’odio e dalla violenza, di cui è stato testimone diretto. In Siria ora spadroneggiano bande armate che non sono altro che delinquenti: personaggi ambigui che reclutano i giovani emarginati e infarciscono i loro discorsi di contenuti religiosi, giustificando così ogni tipo di violenza e di abominio. Un’odio che ha coinvolto e lacerato tutte le fazioni in lotta. Si combatte per vivere, si combatte per vendicarsi. Si combatte per il potere.
Forse non serve a niente chiedersi come si e’ potuto precipitare così velocemente verso l’orrore di oggi, e se si sarebbe potuto fare qualcosa. Quando, ormai, il mondo dell’informazione parla di armi chimiche e di possibili interventi punitivi (nemmeno risolutivi), sembra evidente l’intenzione di spostare l’attenzione dal vero problema: la violenza e l’estremismo, la cui soluzione non può certo essere un semplice attacco aereo.
In ogni caso, il regime sembra aver vinto: ha distrutto un tessuto sociale multi-religioso e multi-etnico; ha scatenato una guerra civile; e’ riuscito a trasformare dei rivoluzionari in estremisti.
C’e’ da chiedersi dove sono finiti tutti quei siriani che più di due anni fa sono scesi per le strade in maniera pacifica. Trasfigurati dalle sofferenze e dalla violenza? Trasformati in combattenti sanguinari decisi a vendere cara la pelle?
Sì, l’Occidente ha sbagliato, ha tentennato troppo. La comunità internazionale ha sbagliato, coinvolta in giochi strategici in cui la conta delle vittime non ha molta importanza. Gli stati arabi hanno sbagliato, troppo distanti dall’avere un interesse comune o un percorso unitario che non sia solo di facciata. La stessa opposizione siriana in esilio ha sbagliato, non riuscendo a presentarsi come interlocutore affidabile.
Rimediare a questi errori non e’ facile. L’accordo proposto dalla Russia al fine di distruggere gli arsenali di armi proibite in mano a Damasco, sembra solo uno stratagemma per dare fiato al regime e rimandarne la caduta. Forse il nodo centrale e’ questo: la caduta del regime. E soprattutto una vasta operazione di riconciliazione, recuperando i valori che stavano alla base della rivoluzione, processo impossibile fino a quando Asad resterà al potere.
Abbatterlo con le armi? Possibile, anche se le conseguenze non sono ponderabili.
La soluzione ideale sarebbe un accordo internazionale che ne provochi l’isolamento e la caduta. Ma se questo e’ impossibile, c’e’ un’altra soluzione oltre all’uso delle armi per fermare questa spirale di violenza?