L’Arabia Saudita e la visita di Obama
L’editoriale di oggi, 28/03/2014, del sito raialyoum scritto da Abdel Bari Atwan, parla della visita di Obama in Arabia Saudita, una visita che rappresenta il tentativo di correggere i rapporti ormai deteriorati tra gli Stati Uniti ed uno dei suoi più fedeli alleati. Negli ultimi tempi infatti i sauditi hanno ricevuto due sgradevoli sorprese riguardo gli accordi sul nucleare iraniano da un lato e la mediazione internazionale per la distruzione dell’arsenale chimico siriano dall’altro, ciò che ha evitato l’intervento militare occidentale in Siria.
La politica saudita, incentrata sullo scontro con l’Iran, faceva affidamento sull’alleato americano per condurre una guerra che portasse al ridimensionamento di questa nazione, nemico storico sia dal punto di vista geo-strategico, sia dal punto di vista religioso: la casa regnante saudita da più di due secoli ha sposato la rigorosa dottrina wahabita; l’Iran al contrario, è stato teatro della più innovativa rivoluzione sciita. Questo scontro si sarebbe potuto svolgere per lo meno su territorio siriano, ma la presidenza americana ha più volte dimostrato di non gradire la guerra: oltre al fatto che i capi di stato democratici tendono tradizionalmente a spegnere le guerre che i repubblicani intraprendono, Obama è ora concentrato a risolvere i problemi economici interni ed è ben memore delle tragiche esperienze sia in Afghanistan che in Iraq. Per non parlare della recente crisi ucraina.
La situazione è senza possibilità di sviluppo in quanto i sauditi già si trovano in una situazione imbarazzante. La spaccatura all’interno del Consiglio di cooperazione del Golfo infatti indebolisce ulteriormente il loro ruolo, una volta centrale nell’area. Il loro impegno indiretto in Siria attraverso la fornitura di soldi e armi ai gruppi radicali poi, non aiuta ad acquisire importanza in un territorio in cui, ormai, l’Occidente non è poi così convinto che la caduta di Asad rappresenti un vantaggio.
L’Arabia Saudita insomma ha commesso degli errori strategici, il più evidente dei quali è stato quello di non rendersi militarmente indipendente, come invece ha fatto l’Iran, che lavora da anni al suo rafforzamento militare e il cui progetto nucleare ne rappresenta solo l’ultimo passo. In sostanza, una lettura superficiale della situazione geo-politica da parte dei sauditi, lettura che li han portati a legarsi all’alleato americano, le cui le necessità petrolifere lo rendevano malleabile e disponibile. Qualcosa tuttavia è cambiato: gli Stati Uniti dal punto di vista energetico son diventati praticamente autosufficienti; inoltre, sono emerse potenze economiche militari come la Russia con cui Teheran ha stretto una salda alleanza. Nuovi attori forti e potenti insomma, e la politica estera è governata proprio dai rapporti di forza. A poco serve quindi la politica del risentimento adottata da Riad attraverso il rifiuto del seggio temporaneo nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Proprio perché il linguaggio compreso dalle grandi autorità è solo quello della forza e della fermezza (e aggiungiamo della convenienza), solo comprensione da parte di una grande potenza come gli Stati Uniti.
E a proposito di comprensione, risulta difficile capire alcune contraddizioni manifestate ultimamente dall’Arabia Saudita, mal recepite dal mondo arabo e islamico: il sostegno dato alla rivoluzione siriana e libica, ma l’affossamento della rivoluzione egiziana e yemenita; l’avversione contro i liberali e l’adozione dell’Islam come dottrina politica, ma d’altro canto dichiarare guerra ai Fratelli Musulmani classificati addirittura come organizzazione terroristica; schierarsi in primo piano contro il terrorismo, ma appoggiare i gruppi islamici radicali che combattono in Siria; e infine, promuovere il dialogo tra le religioni da un alto, ma esacerbare dall’altro lo scontro settario. Tutto questo, contornato da un atteggiamento molto meno deciso ed assai più lassista sulla questione palestinese.
Il problema dell’Arabia Saudita non è solo con gli Stati Uniti, ma è proprio con sé stessa. Se non avviene un cambio di direzione nella sua politica, sarà quindi difficile trovare delle vie d’uscita da questa crisi.
Fonte della foto: america.aljazeera.com