Manifestazioni di protesta, scontri e morti nel Sudan
È da lunedì scorso che si susseguono le manifestazioni di protesta in tutto il Sudan. L’epicentro della rivolta è la capitale Khartoum, dove si è registrato anche un incendio appiccato dai manifestanti alla sede del Partito del Congresso, il partito al governo, il cui capo è il presidente Omar al-Bashir.
Le proteste sono nate per l’aumento del prezzo della benzina, o meglio contro la sospensione dei sussidi che ne calmieravano il prezzo, ma, come sostiene l’opposizione politica, in realtà le motivazioni sono soprattutto politiche.
I quotidiani arabi non dispongono di cifre ufficiali per quanto riguarda le vittime. Si passa da 29 (al-Quds) alle più di cento secondo al-Hayat. Mentre il governo definisce i manifestanti come dei ladri e dei delinquenti che non si limitano a protestare, in quanto non si esimono dall’esercitare il saccheggio e la violenza, l’opposizione politica asserisce che le manifestazioni sono pacifiche e che le vittime sono dovute ad un impiego eccessivo della forza da parte della polizia, che ha fatto uso anche di armi da fuoco nel fronteggiare le proteste.
La capitale sudanese sembra avere assistito ad una riedizione della primavera araba, allorché circa 3.000 persone hanno percorso le vie della capitale gridando “libertà libertà” e “il popolo vuole la caduta del regime”.
Sadiq al-Mahdi, leader del partito d’opposizione Umma, ha invitato i suoi sostenitori ad occupare le piazze e ha definito le proteste delle manifestazioni spontanee, alla cui base non ci sono solo motivazioni economiche.
Da sottolineare come molti giornali ieri non siano usciti, non solo per motivi tecnici dovuti all’impossibilità dei redattori di raggiungere il posto di lavoro, ma soprattutto per la volontà di non sottostare alla censura di governo, che impone di non parlare liberamente della rivolta.
In Siria invece, riporta il quotidiano al-Hayat, i combattenti sunniti che fanno parte di diverse formazioni (“Gli Uomini Liberi della Grande Siria”, “La Brigata dell’Islam”) stanno studiando l’ipotesi di unirsi sotto un unico esercito islamico, che dovrebbe chiamarsi “L’esercito di Mohammad”. Ciò appare necessario dopo i numerosi scontri interni fra fazioni diverse dell’opposizione, come “Il Libero Esercito Siriano” e “Jabhat al-Nusra”.
Questa nuova forza godrebbe dell’appoggio di più di 50.000 uomini e sarebbe indipendente in quanto le sue decisioni tattiche non dipenderebbero da nessun coordinamento esterno.