Mosca potrebbe essere la soluzione
Esclusa la Turchia, che fin dallo scoppio della crisi ha mostrato un atteggiamento deciso contro il regime siriano criticando la repressione violenta e l’uso indiscriminato delle armi contro la popolazione civile, tutti gli altri Paesi, siano arabi o occidentali, si sono distinti per indecisione e tentennamenti.
Le cause sono molteplici.
L’Europa e gli Usa vedono la crisi siriana come non prioritaria in un momento di crisi economica intensa in cui i rispettivi elettorati sono poco sensibili alle questioni umanitarie, schiacciati appunto dai problemi finanziari. I Paesi arabi al contrario si barcamenano tra rivoluzioni, contro-rivoluzioni, proteste popolari e divisioni settarie che rischiano di far esplodere i delicati equilibri interni. Giordania, Libano e Iraq, in quanto Paesi confinanti, sono i candidati più a rischio per un eventuale propagazione del conflitto.
Tensioni sopite e conflittualità irrisolte impediscono una presa di posizione decisa contro il massacro di quasi un intero popolo.
Non stupisce quindi l’inazione della Lega Araba, da sempre istituzione simbolica poco efficace (tranne pochi casi legati alla questione palestinese). Stupiscono invece le accuse rivolte contro l’Occidente, reo di non prendere alcun provvedimento pratico volto a destituire il sanguinario regime di Asad.
Sembra che molti si oppongano ad un intervento armato non per i rischi di un eventuale deflagrazione che possa interessare l’intera area, ma esclusivamente per questioni ideologiche. L’Occidente è il nemico storico ed ogni suo intervento è foriero di ulteriori disastri e nasconde sempre interessi nascosti.
Non si può dar loro torto, il passato ce lo dimostra. Oggi però e’ indispensabile giungere ad una soluzione, mettere da parte i calcoli, le ideologie e le critiche e fermare la distruzione di un intera nazione.
Non parlo di un intervento armato, anche perché l’azione militare che si prospetta avrebbe esclusivamente uno scopo dimostrativo e non porterebbe ad una reale soluzione del problema. Senza contare che manca una vera consapevolezza delle conseguenze che un intervento più decisivo causerebbe.
Sarebbe invece auspicabile un fronte comune soprattutto dei Paesi Arabi e una pressione economica esercitata sulla Russia, affinché allenti la sua protezione verso Damasco. Una trattativa cioè che gli instilli il dubbio che un atteggiamento così ostinato possa arrecare, a lungo termine, più danni che immediati profitti. Oppure un qualche tipo di compensazione per lo smacco subito in Libia, che offra a Mosca una via d’uscita onorevole senza intaccare il suo orgoglio.
Meglio ancora sarebbe un fronte unico, coordinato tra Occidente e Paesi Arabi, che faccia sentire il suo peso anche all’interno del regime. La totale assenza di protezione internazionale (a parte quella regionale dell’Iran e di Hezbollah) potrebbe sconvolgere gli equilibri interni e rendere concreto il senso di isolamento, potrebbe far cadere anche la scusante della “resistenza” contro Israele e potrebbero aumentare le possibilità di defezione da parte delle personalità del regime.
Un’implosione interna insomma, alimentata dalla lotta dei vari gruppi armati che già adesso controllano un’estesa area del Paese.
Forse solo allora sarebbe auspicabile un intervento internazionale che miri a garantire la sicurezza interna e ad assicurare un lavoro di pacificazione e di ricostruzione del tessuto sociale.