Ginevra 2: quali aspettative ?
Cosa ci si aspetta dalla conferenza di Ginevra? Leggendo un po’ di pareri e di commenti riportati sia dai giornali arabi sia da quelli italiani, molti considererebbero già un successo il solo fatto di arrivare all’apertura di corridoi umanitari o ad un temporaneo accordo di cessate il fuoco limitato a qualche area (Aleppo, Homs).
Le parole del segretario di Stato americano Kerry non devono ingannarci: nonostante sottolineino che la conferenza ha come obiettivo principale la costituzione di un governo transitorio con pieni poteri in cui Asad non avrà alcun ruolo, in realtà è ben consapevole che la possibilità di raggiungere un simile risultato è pari a zero. Questo a causa dell’enorme distanza che separa le fazioni belligeranti e soprattutto i loro sostenitori regionali, rispettivamente Iran e Hezbollah per la Siria, l’Arabia saudita e il Qatar per l’opposizione. Sono loro che influenzano la situazione sul territorio, attraverso il sostegno economico e militare che alimenta il conflitto. Sono loro che possono imporre una soluzione concertata di comune intesa, e farla rispettare. Russia e Stati Uniti, i padrini maggiori, hanno un potere limitato.
E’ stato già un grande successo riuscire a convocare le parti in lotta in un unica sede per negoziare. Fino a poco tempo fa non c’era alcun tipo di riconoscimento da parte del regime nei confronti dell’opposizione, anzi il regime negava che ci fosse un’opposizione, parlava esclusivamente di terroristi. Questo riconoscimento lo si deve alla diplomazia americana e russa, che hanno manovrato e fatto pressioni perché la Conferenza venisse convocata. Il loro potere però non va aldilà di questo. La Russia avrà faticato non poco a convincere Asad a presentarsi al tavolo delle trattative: che ragioni aveva quest’ultimo di andare a Ginevra? Asad militarmente sta vincendo ed è sul punto di “candidarsi” per un ulteriore mandato. Probabilmente i massacri e i bombardamenti, come le immagini di civili assediati che rischiano di morire di fame, rendono il suo regime poco apprezzato e imbarazzano l’alleato russo. La stessa cosa è accaduta con la questione delle armi chimiche: Lavrov è corso in aiuto, escogitando un salvataggio diplomatico per il regime, ad un passo dalla condanna internazionale. La Siria è diventata un alleato scomodo, ingovernabile e riottoso; difficile dire quanti benefici sarà in grado di apportare a Mosca.
Lo stesso dicasi per gli Stati Uniti che non controllano pienamente un’opposizione, tra l’altro poco amata in patria, dove i gruppi armati hanno un reale peso, una reale influenza sul campo e dove i punti di riferimento sono gli Stati del Golfo, non più così stretti alleati dell’Occidente, dopo l’accordo sul nucleare iraniano.
E’ proprio l’Iran lo spauracchio principale, con le sua aspirazione a diventare l’arbitro del M.O., a rappresentare la possibile soluzione del problema: qualora adottasse un atteggiamento di maggior apertura e di dialogo, calcolando il ritorno economico e d’immagine agli occhi dell’Occidente, potrebbe sacrificare Asad in cambio di alcune garanzie di tutela del suo ruolo in Siria.
Il problema tuttavia è rappresentato dall’ala conservatrice del regime iraniano, che non sembra disposta a scendere a patti con l’Occidente e che ha dimostrato marcata insoddisfazione per le aperture di Rouhani e la sua “diplomazia del sorriso”.