Riad, carcere dorato
Quarantanove tutti in unico botto sabato scorso mentre uno solo ma molto significativo tre giorni fa. A questi, in base alle notizie del quotidiano al-Quds al-Arabi di oggi 8/11/2017, bisognerebbe aggiungerne un altro. Stiamo parlando degli arrestati e dei fermati, obbligati al domicilio coatto e sottoposti a restrizioni nelle comunicazioni verso l’esterno, colpiti dagli ultimi provvedimenti politici e giudiziari emanati dalla coppia al comando del regno saudita ossia il re Salma bin Abd al-Aziz Al Saud e suo figlio Mohammad.
I primi a farne le spese sono stati 11 principi o emiri della casa regnante e 38 tra ex ministri e ministri in carica del regno saudita.
Il fermato eccellente è invece Saad al-Hariri primo ministro libanese che ha reso pubbliche le sue dimissioni attraverso un comunicato trasmesso in diretta da Riad dal canale satellitare al-Arabiya.
Mentre l’ultimo della compagine è ʿAbd Rabbih Manṣūr Hādī il presidente yemenita internazionalmente riconosciuto.
Il mistero avvolge e collega tutte e tre le vicende.
Nel primo caso sembra evidente, a detta di tutta la stampa internazionale, il tentativo da parte di Mohammad bin Salman di assicurarsi la successione al trono colpendo eventuali concorrenti politici come il principe Mut’aib bin Abdulaziz comandante della Guardia Nazionale o potenti rivali finanziari come il miliardario e principe saudita Walid bin Talal.
Per quanto riguarda al-Hariri ci sarebbe dietro un tentativo di destabilizzare il Libano e di conseguenza il ruolo sempre più accentratore rivestito da Hezbollah, emanazione diretta del velāyat-e faqih (la dottrina di governo della guida suprema Ali Khamenei) iraniano.
Ibrahim al-Amin scrive oggi sul quotidiano al-Akhbar che al-Hariri è sotto stretto controllo delle forze di sicurezza saudite. Non può rilasciare interviste e sebbene non sia in stato di fermo i suoi movimenti sono sorvegliati come quelli della sua famiglia e a conferma di questo ci sono e dichiarazioni dell’ufficiale libanese Mohamamd Dayab che ha accompagnato al-Hariri nel suo viaggio a Riad ma al quale invece è stato concesso di ritornare a Beirut per motivi famigliari.
Inoltre il premier libanese dimissionario si è recato ieri in visita lampo ad Abu Dhabi per incontrare il principe della corona degli Emirati Arabi Mohammed bin Zayefi, per poi rientrare subito nella capitale saudita, senza fargli incontrare i giornalisti.
E proprio bin Zayef rivestirebbe un ruolo importante nel soggiorno obbligato del presidente Mansur Hadi, l’ultimo sorvegliato speciale. Infatti sarebbero gli Emirati che hanno fatto pressione sul governo saudita per impedirgli di recarsi ad Aden la capitale temporanea dello Yemen, dopo i contrasti che si sono accesi in seguito al siluramento effettuato da Hadi nei confronti di Aidarus al-Zoubaidi ex governatore di Aden e il ministro Hani bin Barik, due fedelissimi degli Emirati, diventata ambiziosa potenza regionale che si è distinta nell’affiancare il regno saudita nella campagna contro il Qatar così come nel pesante acquisto di armamenti, interessata quindi a ricoprire un ruolo strategico nel sud dello Yemen. Inoltre un’altra colpa imputata al presidente Hadi è quella di non aver rotto in maniera definitiva i rapporti con il partito dell’ex presidente Ali Saleh vicino ai Fratelli Musulmani.
Quindi le tre vicende si inseriscono nella competizione interna saudita in cui Mohammad bin Salman vuole cambiare le regole per la successione al trono e nella cornice di guerre per procura e non, che l’Arabia Saudita sostiene e a cui prende parte direttamente per contrastare l’influenza iraniana che ha moltiplicato i suoi effetti in seguito alla vittoria in Siria di Bashar al-Asad.
Siamo di fronte a mosse temerarie ispirate da grande ambizione e da folle smania di dominio (come sembra ritenere il quotidiano al-Akhbar che intitola le pagine dedicate alla politica saudite con la dicitura” la follia di bin Salman”) oppure al classico scompaginamento delle carte per mettere in evidenza con una mossa d’attacco l’ormai insostenibile prevaricazione dell’avversario iraniano, che domina nel teatro mediorientale? In tutti i casi il candidato al trono saudita si sente molto sicuro dell’appoggio di Trump e del sostegno non tanto velato di Israele, due attori internazionali che hanno fatto della lotta a Teheran due pilastri fondamentali della loro politica estera.
Resta il dubbio che dopo il fronte interno per l’eredità del regno e dopo quello esterno molto impegnativo e poco soddisfacente con lo Yemen e senza dimenticare la crisi col Qatar, aprire un’ulteriore contesa in Libano sia un azzardo.