Sempre cospirazioni straniere
Solo una semplice nota per commentare le accuse rivolte dal premier turco Erdogan verso le nazioni straniere che, come al solito, sono responsabili di ordire complotti destabilizzanti. Come in Siria, così in Iran, ogni qualvolta ci sono disordini, le responsabilità sono sempre esterne al governo se non al Paese.
Fa strano che un politico navigato e attento come Erdogan non approfondisca l’analisi dei disordini e non trovi una spiegazione alternativa a quella dei complotti esteri.
Certo i nemici o gli stati irritati dalla politica turca sono tanti, e sicuramente gioiscono nel vedere il partito del premier affrontare la sua prima vera crisi dopo dieci anni di governo in cui tutto, sia politicamente che soprattutto economicamente, sembrava andare per il meglio.
Sono giovani quelli che protestano, e sono giovani non disperati ed emarginati, ma studenti. Persone quindi acculturate, che forse trovano un po’ stretto l’abito che le politiche di governo vogliono cucir loro addosso: regole nel vestire, nel comportamento sociale, nelle relazioni con gli altri. Regole un po’ troppo strette per giovani disinibiti e interessati ad una cultura emancipata.
Non una primavera araba, ma un nuovo ’68 turco, che reagisce a regole e moralità imposte dall’alto: basti pensare alla protesta del bacio pubblico risalente a pochi giorni fa.
Certo le proteste non coinvolgono una grande fetta dell’ elettorato turco fedele al partito islamico “Giustizia e sviluppo”, e non si arriverà a nessuna crisi di governo, ma rifugiarsi in accuse prive di fondamento, anziché riconoscere il dissenso interno, appare come una mancanza di autocritica da parte di Erdogan. Atteggiamento, questo, presente praticamente in quasi tutto il panorama politico mediorientale. L’autocritica potrebbe invece rappresentare un antidoto contro atteggiamenti presuntuosi e assolutisti e, se non altro, una tendenza aperta al dialogo e al miglioramento.